Articoli | 02 March 2011 | Autore: Tommaso Caravani

Aria condizionata: lo stato dell’arte

Subito dopo la manifestazione di Automechanika, si è svolta la due giorni di EAAC Convention che, ogni due anni, fotografa lo stato dell'arte dell'aria condizionata per auto. Cosa si è detto e cosa ci aspetta? Proviamo a fare un piccolo sunto.

Il meeting European Automotive Air Conditioning si svolge a Francoforte il lunedì successivo alla chiusura dei battenti di Automechanika.
Ogni due anni, i più importanti esperti di questo settore, dai tecnici delle case auto fino a quelli delle stazioni di ricarica, si incontrano nel prestigioso hotel Sheraton Airport per fare il punto sul futuro degli impianti di aria condizionata delle autovetture.
Succede però che, da un paio di edizioni, tutta l’attenzione è catalizzata da un solo argomento, e probabilmente non potrebbe essere altrimenti. Dal primo gennaio 2011 infatti, i nuovi modelli di auto costruiti in Europa potranno essere omologati solo se utilizzano un gas con GWP minore di 150. A chi non piace parlare per sigle diciamo che il GWP è la sigla che identifica il Global Warming Potential, e, se non vi piace neanche l’inglese, possiamo dire che è un indice internazionale che stabilisce quanto un singolo gas contribuisce al riscaldamento globale del pianeta.
Cosa c’entra tutto questo con l’aria condizionata? Beh, il gas refrigerante finora utilizzato dalle autovetture, cioè l’R-134a, ha un GWP 1.300 cioè quasi dieci volte maggiore del limite massimo. Per cinque lunghi anni i produttori di autovetture hanno quindi puntato sull’anidride carbonica, un gas che ha un GWP pari a uno: praticamente non riscalda neanche un po’ il pianeta. Il problema della CO2 è che, per ottenere un buon ciclo di refrigerazione, le pressioni in gioco devono essere molto alte e, quindi, tutto l’impianto di aria condizionata dell’auto, così come i componenti, andrebbero riprogettati. Un problema superabile, se non fosse che, proprio a causa delle pressioni, il costo finale di tale impianto sarebbe ingiustificato rispetto al valore globale della vettura stessa. Ma proprio quattro anni or sono si iniziò a parlare di alcuni nuovi gas con un basso GWP, che ovviassero al problema delle pressioni. Il punto era, e rimane, che molti di questi gas hanno una infiammabilità maggiore rispetto a quella dell’R-134a. Comunque, due anni fa, Honeywell e Dupont, gli unici produttori che avevano proposto dei gas alternativi, annunciarono una joint-venture, che portò all’identificazione di un nuovo gas che, oramai è confermato da tutti, sostituirà l’R-134a. Si tratta dell’HFO- 1234yf (la versione più semplice per nominarlo è dodici trentaquattro). Quest’anno dunque è stato l’anno dell’ufficializzazione del 1234yf, ma anche l’anno delle risposte in merito a molti dubbi che riguardano questo refrigerante. Nonostante, infatti, questo gas abbia un GWP pari a quattro, e il ciclo di refrigerazione sia molto simile a quello dell’R-134a, questo gas risulta più infiammabile. Una infiammabilità che preoccupa molto gli operatori, non tanto perché rappresenti un problema insormontabile da un punto di vista tecnico, ma perché i costi necessari per risolverlo rischiano di diventare molto elevati. In questo senso la presentazione di Dupont ha voluto “gettare acqua sul fuoco” nel vero senso della parola: l’HFO- 1234yf sembrerebbe, dalle prove effettuate dai tecnici Honeywell-Dupont, effettivamente poco infiammabile, anche in caso di concentrazioni elevate (come possono verificarsi all’interno del cofano di un’auto in officina in caso di perdite). Senza entrare in dettagli tecnici troppo specifici, si può tranquillamente affermare che il nuovo refrigerante è praticamente il fluido meno infiammabile presente in un’officina: meno infiammabile della benzina (ovviamente), del gasolio, ma anche dell’olio motore.
Ma allora perché tanto parlare?
 
Un gas “costoso”
Uno dei primi problemi riguarda il costo del refrigerante. Fin quando la produzione non sarà globale e riguarderà tutte le auto nuove, il costo dell’HFO- 1234yf è nettamente superiore al costo dell’R-134a. Secondo Alessandro Carluccio, di SPX, il costo del refrigerante passerà dagli 0,014 euro al grammo dell’R-134a agli 0,35 al grammo dell’HFO- 1234yf. Si tratta di un costo che in larga parte sarà girato sui clienti finali, cioè gli automobilisti, ma che richiederà una maggiore attenzione anche da parte delle officine. Quando si effettua una ricarica, infatti, una parte di refrigerante viene dispersa nell’aria e, se nel caso dell’R134a tale perdita è trascurabile da un punto di vista economico, così non sarà più per il nuovo gas. Proprio sulla dispersione di refrigerante si gioca anche un’altra partita importante, che ancora non è stata chiarita, e che riguarda lo standard per i connettori delle macchine di ricarica all’impianto A/C dell’auto. Attualmente, infatti, tutti i produttori utilizzano valvole standard, mentre la Commissione europea sta vagliando l’ipotesi di utilizzare valvole con attacco certificato ATEX (che risponde cioè alla direttiva 94/9/CE dove ATEX sta per Atmosphère explosible).
Uno standard, quello ATEX, che dovrebbe, nelle intenzioni del legislatore, essere utilizzato per tutti i componenti delle macchine di ricarica. Tali componenti hanno un costo molto elevato, che probabilmente è destinato a scendere una volta che la produzione sarà completa, ma che, al momento, farebbe lievitare il prezzo della stazione di ricarica ben oltre quello attuale.
Sempre in tema di sicurezza e infiammabilità, le nuove stazioni necessiteranno, questo è al momento certo, di un impianto di ventilazione interno, in modo da evitare concentrazioni di refrigerante al loro interno, oltre che del completo isolamento delle componenti elettriche ed elettroniche da eventuali contatti con il refrigerante. Insomma, le nuove macchine costeranno di più.
 
Manutenzione: attenzione alla ricarica
Durante il convegno sono state anche analizzate le conseguenze che il nuovo refrigerante avrà sugli interventi di ricarica e riparazione degli impianti. In questa sede ci soffermiamo a citare le principali criticità che i meccanici saranno chiamati ad affrontare.
In primo luogo bisognerà dotarsi di un rilevatore di refrigerante (anche se alcuni produttori di stazioni di ricarica stanno pensando di integrarlo nella macchina stessa). Questo strumento sarà importante soprattutto durante quello che è previsto essere un lungo periodo di convivenza tra i due refrigeranti sulle auto in circolazione.
Conoscere la tipologia di gas contenuto nell’impianto è fondamentale per effettuare la ricarica corretta ed evitare di mescolare i due gas, sia nell’auto, sia nella stazione di ricarica, che potrebbe essere compromessa.
Un altro problema riguarda il lubrificante per il compressore, che non sarà universale, ma dipenderà proprio dal refrigerante. La cosa si complica nel caso di vetture ibride.
 
Ibrido: il presente dell’auto
Se il focus principale del convegno è stato quello di analizzare il nuovo refrigerante, si può anche dire che, mai come quest’anno, l’EAAC Convention ha guardato al futuro. Un futuro lontano, ma che, per certi versi, rappresenta già il presente. Tutti gli interventi dei fornitori di primo impianto, compreso quello del centro ricerche Fiat, infatti, hanno puntato sulla sempre maggiore importanza dell’impianto di condizionamento nelle auto del futuro. Perché? Perché, già oggi, molti produttori stanno studiando per utilizzare l’impianto di aria condizionata per controllare la temperatura delle batterie delle auto ibride. Progetti già in fase avanzata di sviluppo, tanto che, in alcuni casi, sono già utilizzati (ad esempio su alcune applicazioni Mercedes e BMW in Europa).
Proprio nel Vecchio Continente, inoltre, è previsto un aumento importante della diffusione di vetture ibride, iniziando dall’ibrido-soft delle soluzioni Start & Stop fino all’elettrico totale.
Per far capire quanto tale diffusione sarà importante, basta segnalare uno dei dati presentati durante la convention: in Giappone il 10% del circolante è costituito da vetture elettriche. La problematica delle auto ibride, che già oggi costituisce una difficoltà per le officine, è costituita dal fatto che il compressore di tali vetture è spesso attivato elettricamente. Per questa ragione, oltre che per la presenza di numerosi componenti elettrici che potrebbero interferire con l’impianto, l’olio da utilizzare deve necessariamente essere non conduttivo di corrente, cioè un olio appositamente studiato per tali impianti.
È un elemento da non sottovalutare, non solo per la durata dell’impianto, ma anche per la sicurezza personale, se è vero, come è vero, che le auto elettriche in Giappone hanno decretato la morte di alcuni meccanici proprio a causa degli alti voltaggi in gioco.

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